Stiamo lasciando la capitale, della quale, a dire il vero, non abbiamo visto quasi nulla. Ieri, una volta lavati, mangiati e ben insediati, abbiamo fatto un patetico tentativo di lasciare il lusso opulento del nostro 5 stelle per esplorare la zona 1, ovvero il centro storico della capitale. Secondo la “Lonely Planet”, tutto quel che c’è da vedere a Ciudad de Guatemala (a parte due musei dedicati ai Maya in zona 10) si trova attorno alla Plaza Mayor. Con mio sommo stupore nessuno dei due ragazzi alla porta del Quinta Real conosce la Plaza Mayor. E lo stesso vale per il taxista. A lui, comunque, basta dire di portarci alla Catedral e ci si arriva.
Peccato che, proprio in coincidenza con il nostro ingresso nella piazza a bordo dell’auto, cominci a piovere a dirotto. La cattedrale è chiusa, il Palacio Nacional pure (del resto è domenica e sono le sei di sera passate), la cosa più bella della piazza è la fontana centrale che, però, sotto le cateratte, ha un fascino relativo, perciò non ci resta che rifugiarci sotto i portici come il centinaio abbondante di cittadini guatemaltechi che fino a un istante prima affollavano la piazza. Qui ci sono un complesso che si sta preparando per un concertino, un gruppo d’archi, formato da ragazzini, che strazia Bach, una serie di tavoli sui quali si insegnano i rudimenti degli scacchi, un gruppo di clown intrattenitori. Aspettiamo, aspettiamo, aspettiamo. E poi aspettiamo ancora. La pioggia finge di calare, ma ci prende in giro. Davanti a noi si stende un muro d’acqua e la strada si è trasformata in un fiume. L’acqua trasporta cartacce e bottiglie vuote.
Non che ci resti molto da fare. Così tento, senza successo e per ben due volte, di fermare un taxi. Poi Pinocchietto mette fuori, in maniera nobile e discreta come lui sa fare, appena un dito e un’auto si ferma di fronte a me.
Si torna in hotel, la gita nella zona 1 è terminata. Per fortuna il primo taxista ci ha fatto un po’ da Cicerone, mostrandoci, per esempio, una piccola chiesa coloniale rossa e nera che è un gioiellino. Un po’ kitch, magari, ma se non altro meno anonima delle classiche chiese coloniali.
E veniamo a stamane. Sulla soglia dell’albergo abbiamo chiesto un taxi che ci portasse alla stazione degli autobus per Antigua e abbiamo gettato lo sconcerto tra i doormen: ovviamente, a loro avviso, è un taxi per l’aeroporto che vogliamo. Dall’aeroporto si può prendere uno shuttle per Antigua, ci spiegano. Perché dalla stazione ci sono solo “chicken bus” a 2 $, insistono. Se no il taxi ci può portare per 40. E voilà, ‘sto giro si sciala: porta a porta in taxi.
Ad Antigua il nostro lussuoso b&b, The Cloister, è stupendo, ma, in definitiva, a 90 $ a notte è un po’ caro. By the way, Antigua è la versione guatemalteca di Trinidad (vedere qui): bella, coloniale, leccata, a pianta romana, dunque squadrata e, irrimediabilmente, americana. Già, il Guatemala è America todavia e, come tutta l’America aspira a los Estados Unidos. Dunque, anche qui, McDo trionfa, manco a dirlo.
Comunque, se ci si allontana dall’arco di Santa Catalina e dalla piazza centrale, si scopre che Antigua esiste e non è solo una cartolina. Bellissima. Quasi come Oaxaca.
Nota a margine numero 1: i guatemaltechi sono adorabili, sorridenti e di una gentilezza assoluta. E piccini picciò.
(nella foto "Ma piove?": la fontana nel cortile della chiesa della Merced ad Antigua)
Il titolo l'ho rubato a David Grossman. Più precisamente a "Follia". Avrei potuto dire che era un omaggio o una citazione, ma cosa diavolo può fregargliene a David Grossman di essere citato da me? Così gliel'ho rubato ma lo ringrazio comunque: è perfetto per i miei deliri da viaggio (ma è meglio se li leggete dal basso in alto)
16 agosto 2007
14 agosto 2007
Intermezzo centramericano
Lo so che è una vigliaccata interrompere "Miracolo cubano", ma ho il sospetto che non finirà mai e non voglio decretare la morte di questo blog. Perciò temo che ora vi cuccherete una parentesi guatemalteca. Che comincia qui:
28 luglio 2007 - h. 14.17 - Paris-Miami
Siamo partiti. Da non molto, meno di una mezz'ora. Con tre ore di ritardo. Ma siamo partiti. La coincidenza per Ciudad de Guatemala è persa. Ma siamo partiti. E fino a Miami arriviamo per certo. Poi si vedrà.
h. 19.18 - Miami (of course. E, of course, con il fuso corretto, dunque in Italia sono passate le due del mattino)
La turista smarrita stavolta si è persa davvero. O, almeno, ha perso l'aereo.
Si parte domani alle 12.05. Una notte a Miami, perciò. In un albergo abbastanza di merda (Wyndham, nel caso qualcuno dovesse passare per la Florida, giusto per evitarlo), praticamente attaccato all'aeroporto. Niente valigie, e vabbè, ma niente kit di sopravvivenza e questo va decisamente meno bene. Anche perché, per colpa di questi deficienti di americani del nord col cazzo che puoi portarti un nécessaire in aereo: troppi liquidi, babe, sai che bomba ci fabbrichi con un deodorante e un bagnoschiuma. 'fanculo. Ho giusto lo spazzolino e il dentifricio, un rossetto, un burro di cacao e un po' di profumo. Rigorosamente infilati nella merdosa busta trasparente che è la sola a passare i controlli. Anche quando il liquido che ti stai portando dietro è un pericolosissimo spray antiasma. Ri'fanculo. Quello che ho deve bastarmi. Anche perché nel merdoso negozio dell'hotel col cavolo che vendano qualcosa di utile. A meno che non sia io a essere cieca e a non voler capire che per tutti noi un mug con scritto Miami è assai più indispensabile di un deodorante. Per fortuna il cambio di slip viaggia sempre con me. Strano, potrei arrotolarli al collo di una hostess dopotutto. Bah. (Toh,in questo albergo manco stirano le lenzuola. Che sono uscite ultrastropicciate dal maledetto essicatore. Una favola. E chi si prova a dire che sono una principessa del pisello lo strafulmino con una saetta di sola andata Panajachel-Europa).
Bon: per entrare negli stramaledetti Usa (dove dovevamo essere solo in transito, mica che me ne freghi qualcosa di entrare in 'sto paese di merda a me) abbiamo impiegato un tempo interminabile: fila, controllo passaporti, impronta indice mano sinistra, impronta indice mano destra e foto. Pinocchietto, per giunta, è stato bloccato e sottoposto a qualche domanda, completamente insulsa, supplementare. Dopo un'attesa di almeno un quarto d'ora nel limbo di chi è passato per la frontiera ma non l'ha ancora veramente oltrepassata. Con Pinocchietto (e me) ci sono pure tutti quelli che, come lui, hanno il nuovo, mega, super, ologrammatico passaporto dell'Unione Europea. Quello che per averlo devi fare i patti col diavolo. Quello che noi idioti unioneuropeisti abbiamo cambiato/creato apposta per far piacere ai furbissimi americani e rispettare tutte le idiote norme di sicurezza che si sono sognati. Ecco, quello. Con quello hai qualche difficoltà in più a entrare negli Usa. Degli dei pure noi, no? Cornuti e mazziati. Paese di merda, paese di merda, paese di merda. Se lo scrivo abbastanza volte qualcuno ci crede? Paese di merda, paese di merda, paese di merda.
P.S. Mi ero dimenticata la gentilezza. Quando gli europei arrivano, dopo otto ore di volo intercontinentale, all'aeroporto trovano un mentecatto biondo che li apostrofa: "foreigners? this way". Una ventina di tizi avanti a me c'è un poveretto che non capisce il suo floridino stretto e si infila nel corridoio per gli US citizens. E sapete come lo apostrofa il biondo 65enne? "Hello?... Hello?..., this way". Mancava che gli battesse il pugnetto sulla testa. (Ah sì, tra l'altro negli Usa, evidentemente, la pensione se la sognano, hostess e steward hanno un'età media di 60 anni, sia sul volo American Airilines che su quello Delta. E anche tra il personale in aeroporto gli ultrasessantenni sono tutt'altro che rari. Devo ripetere il ritornello di cui sopra?)
28 luglio 2007 - h. 14.17 - Paris-Miami
Siamo partiti. Da non molto, meno di una mezz'ora. Con tre ore di ritardo. Ma siamo partiti. La coincidenza per Ciudad de Guatemala è persa. Ma siamo partiti. E fino a Miami arriviamo per certo. Poi si vedrà.
h. 19.18 - Miami (of course. E, of course, con il fuso corretto, dunque in Italia sono passate le due del mattino)
La turista smarrita stavolta si è persa davvero. O, almeno, ha perso l'aereo.
Si parte domani alle 12.05. Una notte a Miami, perciò. In un albergo abbastanza di merda (Wyndham, nel caso qualcuno dovesse passare per la Florida, giusto per evitarlo), praticamente attaccato all'aeroporto. Niente valigie, e vabbè, ma niente kit di sopravvivenza e questo va decisamente meno bene. Anche perché, per colpa di questi deficienti di americani del nord col cazzo che puoi portarti un nécessaire in aereo: troppi liquidi, babe, sai che bomba ci fabbrichi con un deodorante e un bagnoschiuma. 'fanculo. Ho giusto lo spazzolino e il dentifricio, un rossetto, un burro di cacao e un po' di profumo. Rigorosamente infilati nella merdosa busta trasparente che è la sola a passare i controlli. Anche quando il liquido che ti stai portando dietro è un pericolosissimo spray antiasma. Ri'fanculo. Quello che ho deve bastarmi. Anche perché nel merdoso negozio dell'hotel col cavolo che vendano qualcosa di utile. A meno che non sia io a essere cieca e a non voler capire che per tutti noi un mug con scritto Miami è assai più indispensabile di un deodorante. Per fortuna il cambio di slip viaggia sempre con me. Strano, potrei arrotolarli al collo di una hostess dopotutto. Bah. (Toh,in questo albergo manco stirano le lenzuola. Che sono uscite ultrastropicciate dal maledetto essicatore. Una favola. E chi si prova a dire che sono una principessa del pisello lo strafulmino con una saetta di sola andata Panajachel-Europa).
Bon: per entrare negli stramaledetti Usa (dove dovevamo essere solo in transito, mica che me ne freghi qualcosa di entrare in 'sto paese di merda a me) abbiamo impiegato un tempo interminabile: fila, controllo passaporti, impronta indice mano sinistra, impronta indice mano destra e foto. Pinocchietto, per giunta, è stato bloccato e sottoposto a qualche domanda, completamente insulsa, supplementare. Dopo un'attesa di almeno un quarto d'ora nel limbo di chi è passato per la frontiera ma non l'ha ancora veramente oltrepassata. Con Pinocchietto (e me) ci sono pure tutti quelli che, come lui, hanno il nuovo, mega, super, ologrammatico passaporto dell'Unione Europea. Quello che per averlo devi fare i patti col diavolo. Quello che noi idioti unioneuropeisti abbiamo cambiato/creato apposta per far piacere ai furbissimi americani e rispettare tutte le idiote norme di sicurezza che si sono sognati. Ecco, quello. Con quello hai qualche difficoltà in più a entrare negli Usa. Degli dei pure noi, no? Cornuti e mazziati. Paese di merda, paese di merda, paese di merda. Se lo scrivo abbastanza volte qualcuno ci crede? Paese di merda, paese di merda, paese di merda.
P.S. Mi ero dimenticata la gentilezza. Quando gli europei arrivano, dopo otto ore di volo intercontinentale, all'aeroporto trovano un mentecatto biondo che li apostrofa: "foreigners? this way". Una ventina di tizi avanti a me c'è un poveretto che non capisce il suo floridino stretto e si infila nel corridoio per gli US citizens. E sapete come lo apostrofa il biondo 65enne? "Hello?... Hello?..., this way". Mancava che gli battesse il pugnetto sulla testa. (Ah sì, tra l'altro negli Usa, evidentemente, la pensione se la sognano, hostess e steward hanno un'età media di 60 anni, sia sul volo American Airilines che su quello Delta. E anche tra il personale in aeroporto gli ultrasessantenni sono tutt'altro che rari. Devo ripetere il ritornello di cui sopra?)
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