10 ottobre 2004 - Shanghai
L’aeroporto di Pudong ci accoglie con una bella zaffata di nebbia da smog alle 6.54 (il mio orario diceva 7.40, ora d’inverno?). Più che puntuali, insomma. Ma l’aria puzza da far schifo. Per il resto fa caldo. Il che significa che, a differenza di quanto immaginavo, qua non usa l’aria condizionata a manetta.
Visto che Carlito è qui per il Challenge Bibendum della Michelin, in compenso, possiamo salire sul pullman previsto per i partecipanti per raggiungere il nostro hotel; l’unico neo è che l’autobus in questione parte alle 8.30.
Per fortuna, il caffè dell’aeroporto non è male. Mi colpisce la raccolta differenziata (lo so, c’è anche a Malpensa, ma non proprio dappertutto). Per di più è diversa dalla nostra, almeno da quanto capisco dai disegnini: i rifiuti si dividono in organici, inorganici e 'pericolosi' o strani.
La prima sensazione, anche se siamo all’interno di un grosso autobus, è quella di essere un pigmeo in una selva di grattacieli: piccolo, piccolo, piccolo. Un po’ come accade a New York. (La sensazione, più tardi, si rivelerà diversa perché qui, per lo più, le strade sono larghe, perciò ci si sente meno schiacciati che in molti quartieri di NYC).
Come previsto (da me e un po’ meno dal Carlito) non si capisce una strafava. Il clacson è una specie di nuova divinità, il suo richiamo si fa udire quasi senza sosta. Le biciclette, che sono lungi dall’essere il principale mezzo di trasporto, sono comunque tantissime.
Percorriamo Yuyuan Lu, vicinissimo al nostro albergo, che è, secondo la ragazza-guida del pullman, un tipico “Shanghai boulevard”. E aggiunge: “non ne vedrete più molti; sono stati quasi tutti allargati”. Sarà per questo che, una volta sistemati e rifocillati, decidiamo di farcelo tutta a piedi, tanto più che porta verso il centro. Per strada ci fermiamo in un caffè di lusso dove ci danno una serie di talloncini favolosi che Carlito tiene per il rimborso spese: ricevuta, tagliando di controllo e simil-lotteria in una sola cedola.
Un’altra cosa che attira la mia attenzione è la passione dei cinesi per gli acquari. D’accordo che, come mi spiega Angelina, una mia amica corsa, che, casualmente, è in Cina nello stesso periodo in cui ci siamo noi e che costituisce la prima delle Shanghai Surprises, il pesce è un simbolo superpositivo, di prosperità e non so che altro, ma qui trovo tre acquari persino nel sottopassaggio della stazione metropolitana di Jing’an Temple, primo assaggio delle “mille luci di Shanghai”: due sono pieni di pesci tropicali da favola e il terzo è un’orgia di pesci rossi, rossissimi e tantissimi. Che sia una metafora?
La vera esperienza elettrica, però, è uscire dalla metropolitana a People’s Square. La piazza in sé è un enorme cantiere, un po’ come tutta quanta la città. Qui si lavora 24 ore al giorno, non esistono notti, né sabati né domeniche. Così a ogni ora possibile si vedono omini arrampicati su fragili impalcature in bambù, senza alcuna protezione: e non parlo dei caschi, questi signori non hanno neppure un’imbragatura e stanno in equilibrio su tronchetti sottilissimi.
In effetti la prima insegna in cui mi imbatto è un McDonald's, che, come i Kentucky Fried Chicken e gli Starbucks, è evidentemente sbarcato in forze a Shanghai (lo stesso vale a Pechino, scoprirò più tardi. In effetti in Cina ci sono già 600 McDo e da qui al 2008 (ora sarà fatto, immagino, n.d.v.) si prevede di aprirne altri 1000. All'orizzonte si profila una nuova razza di cinesi obesi. Il mondo ringrazia).
People’s Square non potrebbe essere più lontana dalla romana Piazza del Popolo, ma è una spianata circondata da costruzioni strabilianti. Come il teatro dell’Opera, scintillante nella sera, costruito secondo i dettami della geomanzia cinese, il feng shui, e che dunque, per esempio, non ha nessun ingresso sul lato ovest. Sulla piazza cantiere si affaccia pure il Park Hotel, costruito da tal Hudec nel 1933, per lungo tempo il grattacielo più alto di Shanghai (a proposito, nella pronuncia cinese la g non si sente quasi, sembra stare lì solo per addolcire l’aspirazione dell’acca. Misteri del pinyin, la trascrizione ufficiale del mandarino nell’alfabeto latino), ma oggi ampiamente sorpassato. E lo Shanghai Art Museum (1935), sul tetto del quale ceniamo, a prezzi assolutamente europei, per goderci la vista su questa strana spianata e farci stregare dai neon.
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