04 settembre 2006

Terzo giorno


Sempre intorno a Santiago. Al mattino si approda (con sbarco asciutto, ovvero senza appoggiare neppure uno dei nostri sacri piedini in acqua) sulla costa orientale, a Sullivan Bay. Qui ci accoglie un magnifico paesaggio lunare di lava nera (pa-hoe-hoe, che, potenza dell’onomatopea, indica in un linguaggio locale il grido di chi poggia un lembo di pelle sopra una colata ancora calda. Almeno, questa è la teoria di Willy…). Ci sono aree che sembrano aver ospitato enormi cesti di vimini intrecciati, altre lisce come piastrelle d’ardesia, altre ancora che si presentano come bolle esplose.
In seguito ci trasferiamo sull’isola Bartolomé (con una strana protuberanza a punta che svetta verso il cielo chiamata Pinnacle Rock) e saliamo fino al faro (a 114 metri d’altezza), da cui si gode una superba vista su Santiago, sul suo vulcano e sulle baie delle due isole. Mai “meditation time” fu meglio scelto.
Al ritorno in barca per il pranzo ci attende lo spettacolo della pulizia del pesce. I nostri eroi dell’equipaggio hanno appena pescato un tonno. Tutto normale, apparentemente, ma noi, rientrando così nelle migliori tradizioni dei turisti alle Galapagos, ci siamo entusiasmati di fronte a quella sorta di comunione pagana. Mentre un uomo si occupa di squartarlo, pellicani, fregate e pesci in quantità hanno circondato la barca in attesa dei resti. Le fregate, incapaci di tuffarsi per pescare per via della scarsa impermeabilità delle loro piume, di solito rubano il pesce di bocca agli altri uccelli. In questo caso, però, hanno acchiappato al volo i brandelli lanciati in aria, proprio per loro, dal nostro marinaio.
Il pomeriggio trascorre tranquillo a San Bartolomé su una spiaggetta arancione. Con Roberta e Daniele facciamo una camminata fino a una seconda spiaggia che si trova sul lato opposto dell’isola. Non c’è quasi nulla tranne un po’ di rifiuti portati dalla marea (ahimé, sì), un pugno di granchi, un uccellino giallo molto carino (la dendroica) e qualche curiosa formazione in sabbia incrostata che potrebbe essere un incrocio tra un formicaio e una madrepora. In realtà sono le case dei vermi tubolari, che preferisco non incontrare (non so perché mi evocano i mostri di Arrakis di “Dune”, saga di Frank Herbert, nonché film di David Lynch). Torniamo a fare il bagno per uno snorkelling deludente, ma, dietro Pinnacle Rock, ci aspetta un pinguino delle Galapagos (è vero, è vero: qui tutti gli animali, o quasi, sono “delle Galapagos”; ma che ci possiamo fare noi se qui, quasi tutte le specie sono endemiche?), dunque bilancio ultrapositivo. Tornando al Darwin in barca, ne vediamo pure un secondo. La giornata migliore?


(nella foto: lava pa hoe hoe, da www.terragalleria.com

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