
Oggi a pranzo, invece, nel ristorantino gestito dalle signore della Maison de la Joie, abbiamo assaggiato un’altra specialità locale: l’igname pilée, una specie di grosso gnocco (l’igname è una sorta di patata dolce), che abbiamo mangiato con una squisita salsa di arachidi nella quale galleggiavano pezzetti di carne e fettine di un curioso formaggio rosso scuro dall’interno bianco, il formaggio peul, davvero niente male. E brave le nostre signore cuoche.
Finita la parentesi alcolo-gastronomica, confesserò che la gita a Ganvié, viceversa, non mi ha precisamente entusiasmato. Intanto, per arrivare all’imbarcadero a Cotonou ci vuole circa un’ora e un quarto, da passare lungo la solita strada fetente di benzina. Si giunge così al lago Nokoué: decine di piroghe si avvicendano all’attracco per andare a vendere il pesce. A bordo sono quasi tutte donne: sono loro le pescivendole, acquistano la merce dai pescatori e la portano poi al mercato. La pesca avviene in modo abbastanza curioso: gli uomini vanno in cerca di ramoscelli e rami e li piantano poi nell’acqua. Il legno che si decompone attira i pesci nella rete e ai pescatori basta raccoglierla.
Ganvié, detta ultra-pomposamente la Venezia d’Africa, è un villaggio di 45 mila abitanti costruito su palafitte, nel lago Nokoué. Fu fondato nella prima metà del XVIII sec. da una comunità che fuggiva alle razzie degli schiavisti. Ganvié significa infatti “collettività di popolazioni che vivono in pace”. La popolazione vive di pesca, ufficialmente, ma, ufficiosamente, meglio non dimenticare che il lago Nokoué è una delle vie d'acqua su cui circola il contrabbando di benzina.
(nelle foto: l'igname pilée con la sua salsa di arachidi in cui galleggia il formaggio peul; piroga al mercato "semi"-galleggiante di Ganvié)
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