Il titolo l'ho rubato a David Grossman. Più precisamente a "Follia". Avrei potuto dire che era un omaggio o una citazione, ma cosa diavolo può fregargliene a David Grossman di essere citato da me? Così gliel'ho rubato ma lo ringrazio comunque: è perfetto per i miei deliri da viaggio (ma è meglio se li leggete dal basso in alto)
15 settembre 2006
10 agosto - L’Avana-Cienfuegos. No es facil
All’hotel le cameriere ci hanno provato: si vede che, in genere, gli stranieri lasciano la mancia. Noi no, però non è che non abbiamo apprezzato, care Jeni e Tami. Ve lo scrivo qui, dove non lo leggerete mai, ma ve lo scrivo. Il bigliettino era una delizia: “Bienvenidos a nuestro hotel. Les deseamos una feliz estancia y esperamos que se sientan como en su propia casa; es una lastima que se marchen mañana, regresen pronto y que Dios los bendiga. Dulces Sueños”. Ho rispettato tutto, anche le maiuscole. Il bigliettino ci è piaciuto, l’asciugamano piegato a cuore pure, ma siamo partiti lo stesso. Senza neppure lasciarvi un peso. “No es facil”.
Uscire dall’Avana sembra già un’avventura. In realtà Roberto, l’affitta-auto, si è spiegato benissimo, ma Pinocchietto e io siamo in ansia: non c’è stata una sola persona che non si sia raccomandata mille volte di chiedere ripetutamente la strada, “a Cuba i cartelli sono inesistenti”. Vero è che niente indica come uscire dall’Avana, ma, incredibilmente, siamo sulla via giusta. Quasi sempre. E, alla fine, l’Autopista Nacional, l’unica autostrada dell’isola, riusciamo a imboccarla. Così raggiungere Cienfuegos e la decantata Punta Gorda è più o meno uno scherzo.
Peccato che Punta Gorda sia così così. Che la casa particulare che ho selezionato dalla Lonely Planet mi faccia senso al punto che non scendo neppure a visitarla. E che veniamo adottati quasi immediatamente da uno zelante in bicicletta, a suo modo uno jinetero, naturalmente, che ci conduce di casa in casa alla ricerca di una camera. Di botto sembra che Cienfuegos rigurgiti di turisti, non si trova una habitacion decente. È per questo che quando approdiamo da Juanita, la sua stanza ci va benone. Anche se il prezzo, lo scopriremo poi, è decisamente eccessivo. Ma che ci vuoi fare, le/ci tocca pagare lo zelante.
Juanita pronuncia quasi subito la formula magica in vigore a Cuba: “no es facil”. Anche se in bocca sua è sembrato soltanto un modo di dire. Più che altro riferito alla difficoltà di educare delle figlie a Cuba: a partire dai dieci anni, dice lei, bisogna stare molto attenti e vigilare. Marcarle strette, insomma. Poi aggiunge amenità del tipo che chi ha voglia di lavorare lavora, qui come altrove, creando un ponte del tutto inconsapevole con una qualsiasi sua omologa Giovanna della Val Brembana. Intanto, ci informa, lei da Cuba entra ed esce quanto e quando vuole: ha la residenza a Granada, dove vive il fratello. Nella realtà, però, abita a Cienfuegos, Cuba, e qui vuole restare. “A mi me gusta Cuba” chiosa con un’espressione che sottintende che questo è l’unico posto al mondo dove valga la pena vivere.
A me, invece, Zoé Valdés fa schifo. Sobria come al solito, virginie. No, va bene, Zoé Valdés non mi fa schifo, non necessariamente, è solo il suo libro che mi fa schifo. E mi fa schifo perché racconta storie bellissime (“Los Misterios de La Habana”), ma le racconta malissimo. Almeno a mio avviso, ma siccome non vale davvero la pena affrontare un dibattito sulla letteratura tra me e me su un letto madido di sudore è meglio che dia un taglio a tutto e vada a fare una doccia.
Di fronte all’hotel Jagua, un po’ oltre in questa grassa lingua di terra che chiamano Punta Gorda, prendiamo l’aperitivo sul mare. Dopo aver eseguito la doverosa visita alla Cienfuegos coloniale, sotto un acquazzone feroce, che non merita di lasciare tracce sostanziali nella memoria. Quello che beviamo è il miglior mojito che abbiamo assaggiato finora, altro che Bodeguita del Medio. Mentre sto seduta a rimirare il tramonto e a ciucciare beata, vedo passare la versione cubana del panino del muratore meneghino, dove, al posto della cotoletta, c’è un pesciazzo, con tanto di coda, intero, impanato e fritto. Per fortuna Pinocchietto, stagliato sullo sfondo di un oceano acciaio con montagne basse all’orizzonte modello acquarello giapponese, è di una bellezza stupefacente.
(nella foto: uno dei palazzi che si affacciano sul Parque José Marti - gli accenti acuti sulle vocali non sono previsti dalla mia tastiera dunque eliminati d'ufficio - centro della Cienfuegos coloniale)
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2 commenti:
No es facil (anche perchè non capisco lo spagnolo) ma ti seguo eh! Anche perchè Cuba è troppo affascinante per non essere una tentazione.
Orca, fai bene a dirlo, credevo che quel poco di spagnolo che ho ficcato fin qui fosse abbastanza comprensibile, ma se mi segnali cosa devo tradurre lo faccio volentieri. E, come al solito, grazie.
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