
A proposito di dolori, l’influenza di Roberta, il mal di montagna dell’altra Roberta, le scottature e i disturbi intestinali di Emanuele e di Carlo (il bell’architetto) non accennano a migliorare. Così, sulla strada per Tsarang, facciamo una sosta all’ospedale giapponese di Ghemi, attivo da circa un anno. È un edificio carinissimo, un po’ sperso in un’area quasi desertica, se non fosse per il muro mani più lungo del Nepal che comincia poco prima dell’ingresso. Le pareti a calce sembrano quasi urlare “che ci faccio qui?” e il giardino centrale, con le aiuole a disegni e scritte pare uno scherzo della natura. Però i medici ci sono e visitano, uno dopo l’altro, attentamente, i nostri malatini, prescrivendo cure e vendendo loro stessi i medicinali del caso.
Finito il check-up si riprende, costeggiando il muro mani sulla sinistra come s’ha da fare, per una delle passeggiate meno faticose e più lunghe dell’intero trekking. Il deserto tra Ghemi e Tsarang pare non abbia mai fine, se non quando il sentiero comincia a inerpicarsi e, dall’alto dell’ennesimo valico, si scorge la terra promessa: orti, mura, abitazioni e onde rosa di grano saraceno. Ha inizio l’interminabile discesa alla città, irraggiungibile come un miraggio.
(nella foto: onde rosa di grano saraceno, www.nepalhiking.com)
2 commenti:
è per questo che amo camminare. ciao cara v.
:)
Posta un commento