E dà il senso del tempo. “Pole pole”, per esempio, l’equivalente swahili del malgascio “mura mura”, piano. Come dire che c’è tempo per tutto, tranquilli.
Ed è vero, almeno in Africa. Il tempo scorre diversamente. Forse perché nessuno se ne occupa e, tanto meno, se ne preoccupa. Il tempo è una delle poche cose di cui in Africa tutti sono ricchi, del resto.
***
Sui nostri biglietti Tco c’è scritto 20.50. Strano, appena due giorni fa l’autobus Beira-Maputo ci ha lasciato sulla strada, a 20 km da Vilankulos, alle 22.20 (con soli venti minuti di ritardo sull’orario previsto, dunque pressoché perfetto).
Ma sul biglietto Vilankulos-Beira sta scritto 20.50.
C’è scritto anche altro: presentarsi al check-in un’ora prima, alle 19.50. Ma quale check-in? Non c’è nessuna stazione a Vilankulos, l’autobus accosta appena dopo l’incrocio tra la nazionale 1 e la strada che porta al villaggio, davanti a una breve linea di capanne.
***
Qualcun altro, però, pensa magari che meritiamo una lezione sul tempo e, quando la proprietaria del nostro albergo chiama per informarsi dell’orario, sostiene che il bus Tco passerà alle otto e che noi dovremo essere alla fermata già alle sette e mezza.
È a quell’ora, infatti, che il taxi ci deposita davanti a una capanna. Il taxista spiega per noi alla signora che si scalda a un piccolo fuoco che siamo lì per l’autobus.
La signora non sembra sorpresa, pare al contrario fidare nel fatto che il venerdì - oggi - e il sabato l’autobus passi prima.
***
Mentre culla un bambino piccolissimo ci invita a sedere su una panca davanti al fuoco. La mamma del bambino, intanto, prepara la cena all’interno della capanna. Nient’altro.
Il piccolo viene messo a letto. Le due signore cenano sedute sulle sedie di fronte a noi, una ragazza viene a sua volta a prendere un piatto di riso e pollo. Nient’altro.
Il bimbo piange. La mamma rientra ad allattarlo e finisce per addormentarsi accanto a lui. La signora più anziana sposta qualche legnetto per dare vigore al fuoco. Poi si assopisce. Nient’altro.
Cinquanta metri più in là, intanto, si ferma qualche camion. La ragazza del pollo viene a comprare dalla nostra ospite un paio di confezioni in polistirolo che serviranno da gamelle ai camionisti. I ragazzi della baracca accanto ridono nel buio. Nient’altro.
Un signore si ferma a chiacchierare. Si siede davanti al fuoco che rintuzza a sua volta. Lo incuriosiamo: vuole sapere dove andiamo, da dove veniamo, etc. E riprende il cammino. Nient’altro.
A parte i fuochi (e qualche lampada a petrolio nelle capanne), è buio pesto. Infatti non ho mai visto un cielo così pieno di stelle in vita mia: il più africano tra tutti i cieli d’Africa. Eppure, anche in questo nero, c’è gente che cammina. Ci sono pure ragazzini che giocano. E la ragazza del pollo che torna ancora e ancora a svegliare la nostra ospite e a comprarle due birre per i suoi clienti. Al terzo viaggio anche lei prende coraggio e si informa sul conto nostro. Ride. Ridiamo. Di niente proprio, ma ridiamo. Nient’altro.
***
Ma il tempo passa. Tra braci che si spostano da una capanna all’altra per accendere un nuovo fuoco, camion che si arrestano e poi ripartono, stelle e nero, risa e un paio di ubriachi che tutti prendono bonariamente in giro e nel contempo tengono alla larga. Grande lezione di vita: oggi ho imparato il tempo dell’attesa.
E alle 22.15, per premiarmi, il Tco arriva.
(nella foto: resti di barca a Bengueira)
Nessun commento:
Posta un commento