6 e 20. Della mattina, naturalmente. Si parte per il mitico arcipelago delle Quirimbas.
Il minicar è già fuori ad attenderci. Siamo i primi e passiamo alla raccolta degli altri passeggeri. I due che seguirebbero sono leggermente in ritardo, così glissiamo alla ricerca del terzo. È il francese che abbiamo già intravisto al Mar e Sol e al Pemba Dolphin ieri e l’altro ieri, Alex, che viaggia da solo. Poi torniamo a recuperare Clara e il suo fidanzato Iñacio, due giovanissimi architetti che stanno terminando i loro due mesi di volontariato in un villaggio qui vicino, Mekufi, con Architetti senza frontiere. Infine salgono Linda e Peter, due olandesi che alloggiavano al Pirata, a Murrébuè, i cui proprietari sono una coppia di italiani, Susanna e Carlo. Linda e Peter sono vissuti a Maputo per due anni (quattro anni fa) e avevano voglia di tornare in Mozambico.
Il viaggio procede tranquillo per tre ore fino a raggiungere Tanganhangue, dove attendiamo un paio di persone per imbarcarci. Così ne approfittiamo per fare una specie di colazione a base di biscotti più o meno terribili (alla crema di limone o al cioccolato, secondo i casi) e di Coca Cola o Fanta. La barca è completa con l’arrivo di Marina e Roger, due svizzeri tedeschi che sono venuti in macchina da Berna, attraversando parte del Medio Oriente e un gran bel pezzo d’Africa. Sono in viaggio da ottobre con il loro Land Rover (cliccare solo se si è in grado di leggere il tedesco) e si sono fermati a Pemba qualche tempo a lavorare in un orfanotrofio. Strabilianti.
Il tragitto Pemba-Ilha do Ibo è nato sotto una buona stella: arriviamo all’isola e al Miti Miwiri (“due alberi” in swahili o, forse, nella lingua locale che appartiene comunque al ceppo bantù. Muti significa uno, ci spiegherà poi Raul, e Miti più di uno), dove ci accoglie, amabilmente, Jörg, uno dei due proprietari. Ci illustra le possibili escursioni: Quirimba, il banco di sabbia e il resort sull’isola di Matemo. Matemo è l’unica che prometta il paradiso sognato delle Quirimbas, ma arrivare fin qui per passare una giornata in un resort mi sembra un’opzione vagamente demenziale. Pinocchietto non è neppure sfiorato dalla possibilità di prenderla in considerazione. Ergo propendiamo per il surrogato dell’atollo: il banco di sabbia. Nein: sulla barca per domani non c’è posto e ci tocca prenotare per domenica.
Più tardi Pinocchietto va in missione speciale per capire che si possa fare domani e torna vittorioso in camera dicendomi che si parte immediatamente per una visita guidata dell’isola e che domenica andiamo a Quirimba. Alla rompiballe che sono non piace né l’una né l’altra opzione (preferirei visitare l’isola da sola e la gita a piedi a Quirimba non mi imballa troppo sulla carta) e abbiamo la prima, inutilissima, micro-discussione della vacanza.
Comunque si va. Raul, la guida, si rivela un uomo interessante: colto quanto basta, curioso del mondo ed estremamente chiacchierone. Racconta un mucchio di cose sfiziose, si lamenta, un po’ troppo a mio gusto, di corruzione e politici, ma nel complesso ci offre una panoramica niente male: la visione del mondo di un mozambicano, l’unica che abbiamo potuto ascoltare finora. Ci informa pure sulle sue origini: sangue molto, molto misto, parte portoghese, parte indiano, parte arabo.
Prima tappa della visita guidata è il negozio d’artigianato “Silversmith” proprio accanto al Miti Miwiri: già sulle guide avevamo letto che sull’isola di Ibo si lavora l’argento e si fabbricano monili in stile “swahili”. Sempre le guide sostengono che l’argento si ricava dalla fusione di vecchie monete, ma Raul dice che non è più così: le vecchie monete sono finite e l’argento arriva dal Sudafrica. In ogni caso braccialetti e collane sono molto belli e sono tentata di fare acquisti subito. Però mi trattengo e proseguiamo fino al Fortinho St. Antonio, o reduto, il rifugio, (ormai solo per le capre che ne hanno fatto il loro gabinetto), che sembra fosse un punto di osservazione per i portoghesi. Costruito nella parte più alta dell’isola, privo di vere fortificazioni o di armi, oltre a offrire riparo in caso di problemi, consente di far spaziare lo sguardo un po’ ovunque. E, probabilmente, all’epoca, di spiare l’eventuale arrivo di nemici e di dare l’allerta.
Ibo è in qualche modo una città fantasma (©Valérie, una nantaise - d’adozione - che alloggia con Philippe al Miti Miwiri. I due diverranno veri compagni di viaggio per noi, ma ancora non lo sappiamo). Le case coloniali sono tutte - o quasi - in completa rovina e se all’inizio si resta un po’ sconcertati, si finisce poi per essere affascinati da tutta questa imponente decadenza. Ci sono edifici di cui si intuisce la passata bellezza e altri che sono solo ruderi. Passiamo da un altro forte, il Fortinho San José e poi marchiamo visita dallo storico dell’isola, João Baptista, un arzillo ottantaduenne completamente sdentato che mi mostra le sue glorie: un’intervista su una rivista turistica spagnola e la sua foto su un volume dedicato a Ibo pubblicato dalla Fundacion Ibo, un’organizzazione di cooperanti spagnola molto attiva sull’isola. Hanno una scuola per carpentieri, contribuiscono allo sviluppo etc. etc. Nel libro, accanto alla sua foto, c’è la riproduzione di una lettera che João Baptista ha scritto al presidente, di cui vanta con me l’amicizia. Per tutta questa esibizione si beccherà pure una mancia, su richiesta della nostra guida.
Il clou del giro - Raul a parte - è la Fortaleza San João Baptista, omonima dello storico ;-), bella costruzione che ospita due “negozi” di artigianato: uno di gioiellini in argento swahili (bellissimi: mi porto via due collane e due braccialetti per un totale di 2000 meticais, circa 30 euro. Nota bene che all’Ibo Island Resort un braccialetto appena più grande dei miei viene venduto a 79 $ e una collana un poco più elaborata a 149 $. Si vede davvero che ai ricchi i soldi non bastano mai) e uno di ebanisteria, dove prendiamo una statuetta vagamente giacomettiana per 400 Mts (10 euro). I makunde, popolazione che vive nel nord del Mozambico, hanno fama di essere scultori fantastici e le statue scolpite da loro sono celebri in tutta questa porzione d’Africa.
Lo abbiamo sospettato già prima, perché qualcuno ne ha fatto cenno, ma ora è una certezza: oggi Ibo ospita un avvenimento straordinario, una partita di calcio nazionale. La squadra locale ospita la squadra che occupa il secondo posto nel campionato mozambicano (a detta di Raul il Mozambico calcisticamente fa schifo. Ma proprio schifo. Almeno per il calcio maschile, perché, al contrario, pare che le donne se la cavino piuttosto bene). Perciò chi se lo può permettere compra un biglietto per vedere il match. Turisti compresi. Gli altri studiano la postazione migliore per vedere a sbafo. Noi, che finora ce ne siamo completamente disinteressati, ci troviamo a seguire la partita dall’alto del forte. La squadra ospite è evidentemente più forte e il match finisce 4 a 2 per loro.
Partita a parte, dal forte si ha una vista splendida. Vediamo in lontananza Matemo e già mi dico che forse abbiamo fatto un errore a non prenotare l’escursione laggiù. Ma più vicino appare, bianchissimo, il banco di sabbia; e mi consola.
(nella foto: Ibo, città fantasma)
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