Sulla via del ritorno. Per una volta abbiamo deciso di prendercela comoda. Non so più di chi sia stata l’idea. Forse della ancora febbricitante Roberta o forse mia. Comunque la giornata prevede il solito trekking ma, stavolta, a dorso di cavallo. Solo per questa tappa.
Anche perché Emanuele già declina l’offerta per problemi di schiena e, quando vede i cavalli, il patriarca Ambrogio (nostra eminente guida italiana, un sessantunenne che ricorda, non molto da lontano, Sean Connery) non è più tanto sicuro di salire a bordo; in effetti vista l’altezza sua (un metro e novanta) e quella dei veicoli (un metro al garrese?) è facile immaginare le lunghe gambe dell’Ambroeus che strisciano sulle pietre. In ogni caso finiamo per partire e attraversare l’unica vera prateria del Mustang. Destinazione: il passo di Marang La a 4300 metri e il villaggio di Lo-Ghekar, dove passeremo la prossima notte.
Nima, a piedi, va più veloce dei cavalli, tanto più che quando davvero la strada si fa brutta, siamo tutti costretti a scendere di groppa e a condurre per fune i nostri Ronzinanti per una stretta sassaia ripida sulla quale tentiamo a turno di franare a valle. In sintesi: raggiungiamo prestissimo la nostra meta; perciò, nel pomeriggio, decidiamo di fare una passeggiata fino a un paese a un’ora/un’ora e mezzo di strada: Marang. Scopriamo così l’immancabile buco del culo del Nepal o, almeno, del Mustang, un concentrato di tutte le sfighe che possono colpire il genere umano. Ovvero tutto quello che finora ci era stato risparmiato; immersione nella vita vera o depressione?
Marang è un paese come un altro, all’apparenza. Zozzo perso come tutti i centri abitati e gli abitanti del Mustang: incrostato, pieno di cacca e, a questo punto ovviamente, puzzolente. Forse in dimensione un pochino ridotta. Perché è percorso da sentieri più che da strade. Così stretti che non solo un obeso rimarrebbe perennemente incastrato fino all’agognato dimagrimento, ma tali da costringere due persone normali, o anche minuscole come sono in genere questi tibeto-nepalesi, a procedere all’egiziana quando si incrociano. Ovvero a superarsi l’un l’altra mettendosi di profilo.
Muri bassi che danno su campi appena coltivati: il cibo della povertà, quindi prevalentemente patate. Finché si arriva alla piazza o, meglio, a uno slargo dove, attorno a questi stupidi sei occidentali in cerca di brividi da finto primitivo, si concentrano una ventina di ragazzini di età variabile dai due ai tredici anni. Per la prima volta scopriamo che anche nell’alto Mustang esistono le tare. Di quelle gravi, come nel caso di quel bambino, tra il down e il chissà chi, la cui testa ciondola dalle spalle, quanto mai curve, di quello che sembra essere lo scemo del villaggio. E di quelle piccine, come i denti storti, ma storti da far paura, deformi. Lo strano è che finora avevamo stupidamente ignorato l’argomento, pensando forse che in Nepal i menomati li facessero fuori, visto che non c’era stato dato di vederli. Invece, a quanto pare, li hanno inviati tutti qui. Tanto ci si arriva solo a piedi. E avevamo pure immaginato che, d’altra parte, in questo paese a ridosso dell’Himalaya, tutti, nessuno escluso, potessero vantare dentature perfette. Ti giuro: i denti più belli che mi sia mai capitato di incontrare.
Invece Marang stona. Come un punteruolo su una lavagna.
Siamo così codardi che nessuno commenta. Ma non possiamo fare a meno di notare che c’è un uomo pulito e grassottello in mezzo a questa miseria: il monaco.
(la foto non c'entra, tanto più che a Lo Manthang, dove apparentemente è stata fatta, non ho visto niente di simile. Però mi piaceva: ringrazio www.tsechhen.org.np)
2 commenti:
a parte che, fino a qualche giorno fa, nonostante il titolo del tuo libro, per pigrizia ho continuato a limitarmi a credere che il "mustang" fosse solo un cavallo e al limite il modello della Ford...questo pezzo è un piccolo capolavoro di descrizione e disincanto. baci. bonav. (ho visto il tuo "bonnie" di ripicca, cosa credi? :)
danke
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