
La visita al tempio non sarà fondamentale ma completa il quadro vudù: l’iroko (l’albero sacro) all’ingresso è parzialmente coperto da un telo sacrificale che ha assunto l’aspetto di un quadro di Pollock. Poi tempietti sparsi, “tutti abitati da divinità” ci assicura la guida “e proibiti ai profani” e il tempio dove vivono una quarantina di pitoni. Li tocchiamo, Carlito se ne fa mettere uno al collo, poi li lasciamo a scaldarsi attorcigliati tra loro. La sera del giorno in cui si svolge il mercato la porta del Tempio dei Pitoni viene lasciata aperta in modo che i serpenti possano uscire in cerca di cibo. In genere i pitoni rientrano, ma quelli smarriti vengono recuperati dalla popolazione e riportati alla loro casa comune. Secondo la guida pure Angélique Kidjo è stata a pregare in uno di questi templi per chiedere la grazia di avere un figlio.
Usciamo dal tempio e affrontiamo una lunga camminata per arrivare alla Maison du Brésil, dove compro ancora tre braccialetti, poi scoviamo uno zem (moto-taxi, per intero zemidjan) che per 1500 franchi ci porta fino alla Casa del Papa, a 5-6 km dalla Porta di Non-ritorno lungo la Route des Pêches. Alla Casa consumiamo il miglior pasto del Benin: carpaccio di cernia e filetto di spigola al coriandolo. Poi relax ed etologia da bar: passiamo un mucchio di tempo a studiare il comportamento di due granchi in riva all’Oceano. Già mi manca Ouidah e ancora non siamo partiti: spesso la magia dei luoghi è in realtà quella delle persone.
(nella foto: l'iroko-Pollock, Tempio dei Pitoni, Ouidah)
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