Tempo di incontri. E di eventi. Il che spiega perché non sono riuscita a scrivere una sola riga in tre giorni. L’incontro fondamentale è quello con Sergio Manuel Garcia, guida 45enne che parla un francese quasi perfetto ed è un autentico maya, 50% quiché e 50% mam. Peccato averlo incontrato dopo la visita a Chichicastenango.
Visto che non sapevamo di doverci andare, infatti (e che nessuna delle nostre due guide ci indicava la dritta), ci siamo persi il cimitero di Chichi. Avremmo visto un luogo pieno di tombe coloratissime (un po’ come ne avevo visti nello Yucatan o nel Quintana Roo durante il mio primo viaggio in Messico), pieno di gente che portava offerte ai morti. Secondo Sergio si porta in offerta quello che i defunti amavano mangiare e bere quando erano vivi, dunque tortillas, fagioli e magari birra. Tra un po’, sempre secondo Sergio, si vedranno hamburger MacDonald e Coca Cola, anzi, quest’ultima già si comincia a vedere. Se devo (devo?) procedere con ordine, comunque, il primo incontro è quello con due belgi (Dorothée lei, lui chissà) incrociati sul minibus che ci ha portato da Antigua a Panajachel. Si sono fermati al nostro stesso hotel, l’Utz Jay, cioè Casa Buena in maya. Di primo acchito non abbiamo granché simpatizzato, ma poi li abbiamo incontrati al termine del loro giro sul lago Atitlan con Sergio ed è grazie a loro che abbiamo effettivamente fatto lo stesso tour: ne erano entusiasti.
Il giorno seguente ci siamo imbarcati nuovamente sullo stesso minibus dei belgi alla volta di Chichi. Abbiamo trovato un equipaggio quasi interamente francofono (con l’eccezione di uno spagnolo in viaggio da solo che già era con noi nel viaggio da Antigua a Pana). Tra i passeggeri ce n’erano due particolarmente simpatici: Flo e Thierry, da Lione, con i quali abbiamo passato tutto il nostro tempo a Chichi.
Chichicastenango
Seguendo le istruzioni dei due preziosissimi belgi ci siamo svegliati prima dell’alba e alle 5.30 siamo scesi, con Flo e Thierry e senza colazione nello stomaco, al mercato. Secondo i belgi era indispensabile muoversi presto perché la cosa più interessante era vedere la preparazione del mercato e la cerimonia mayo-cattolica della Chiesa Santo Tomas. In effetti ho il sospetto che ormai anche i riti dipendano dai turisti che arrivano, in massa relativa, ma comunque in maggioranza, direttamente da Pana, in giornata, attorno alle 9.
Perciò, a parte qualche sciamano (che Sergio sostiene essere termine dispregiativo) che agitava turiboli di incenso davanti al portone chiuso della chiesa attorno alle 6 del mattino, non c’era granché altro da vedere. I maya preparavano i loro banchi ma confesso che l’allestimento non aveva granché di emozionante. Solo attorno alle 7, quando Thierry aveva accompagnato una Flo gelata a fare colazione all’Hotel Chalet, che di Chalet ha giusto il nome, abbiamo assistito a una sorta di benedizione. Le candele e il fuoco hanno un ruolo importante, come ci ha spiegato Sergio: il prete (che prete non è) parla sul fuoco perché il fumo porti le sue parole a dio o a chi è già trapassato.
Dopo la benedizione abbiamo raggiunto i nostri nuovi amici e diviso con loro qualche eccellente panino fatto in casa dai nostri ospiti, squisiti (tanto più che alle 5.30, al momento di uscire, li abbiamo svegliati facendo suonare l’allarme, che è doverosamente scattato non appena abbiamo aperto la porta). Una volta rifocillati, ci siamo rituffati nel mercato, fatto qualche acquisto di rito, ammirato qualche bel tessuto antico e assolutamente carissimo di cui abbiamo deciso di privarci, cazzeggiato attorno al mercato alimentare, assistito a una sorta di messa tra il pagano e il cattolico, non officiata da un prete, dunque, in una qualche lingua maya che non so più.
Poi Pana ancora, senza Flo e Thierry questa volta, che partivano per un altro villaggio sul lago, San Marco, dove c’è un centro di meditazione yoga (al quale però loro non hanno accennato), a prendere accordi con Sergio per l’indomani e a ritrovare la nostra tana, il Sunset Café.
(nella foto: sui gradini di Santo Tomas a Chichicastenango)
2 commenti:
e già, uno pensa ai cimiteri al passato, mica al futuro. bella (nel senso di intelligente) la notazione, quindi, delle tombe invase dai BigMac. bel racconto, comunque, tra cronaca, storia e un pizzico di etnologia. saluti, e baci ovviamente. bonaventura.
grazie bonaventura, sei sempre generoso. baci anche a te.
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