Non vorrei ci si sbagliasse: non è che il Nepal sia un completo scono- sciuto, il suo 129° posto tra i paesi con il più basso Isu, Indice di sviluppo umano, qualcosa gli ha attirato, le Ong. Mi hanno raccontato che ci sono 36.000 Ong che operano in Nepal. 36.000, mica cazzi. Alcune saranno fittizie, certamente, ma 36 mila sono quelle registrate: tra queste ce ne sono di grosse e di microscopiche.
La prima volta che sono stata in Nepal, cinque anni fa, sono andata a visitare qualcuna di queste strutture. Il Wodes, Women Development Society, è un’associazione che si occupa di donne. Avevano allora diversi progetti: organizzavano gruppi di lavoro al femminile e azioni contro i principali problemi, dall’alcolismo al controllo delle nascite. Poi la scuola messa in piedi da Stella Tamang, che, insieme alla la sorella Della, gestisce la Bhrikuti Secondary School. Alcuni degli 11 figli del mio amico Nima cuore di panna studiano lì. È una scuola come non ce ne sono neppure in Occidente, il cui vero scopo è educare, anche attraverso il gioco e le arti, più che istruire. Ci sono corsi regolari e corsi per ragazze “delle montagne”, lavoratrici in erba, analfabete e similia. Una visione trasformata in realtà. E, infine, il Cwin, Child Workers in Nepal, che è appunto un centro per bambini lavoratori, l’unico deludente, malgrado o forse proprio per l’appoggio Onu.
L’estate scorsa, invece, ho conosciuto per caso, in viaggio verso il Tibet, un americano pazzo e giramondo, fervente cristiano, che, dopo aver passato diversi anni in Sudamerica e svariati tra Pakistan e India, si è stabilito con moglie e figli a Katmandu e si è creato la sua bella Ong. Si occupa, a suo dire, di ragazzi vittime della guerriglia, per lo più orfani. È un gran brav’uomo e si vede, anche se è evidentemente imbevuto del furore messianico dei missionari made in Usa, quello che li fa assomigliare tutti a una massa di mormoni o di avventisti del settimo giorno assetati di proselitismo. Anche Mae-Sot, la cittadina tailandese al confine con il Myanmar (ex Birmania) attorno alla quale da una quarantina d’anni sono stati insediati i campi di profughi Karen, perseguitati dal regime di Yangoon, ne era piena. Al di là della predicazione, ritengo comunque probabile che l’amico americano faccia un buon lavoro. E di gente come lui, il Nepal, stando ai numeri e anche a un poco di esperienza personale, è pieno.
P.S. Nel frattempo il principe nepalese si è fatto un giro in Europa
(nella foto: Bollywood a Katmandu, Durbar Square)
Nessun commento:
Posta un commento