
A un certo punto del percorso, tra la via Emilia e il bar grossomodo, Francesca, Carlito e io siamo adottati da tre bambine. Impossibile per noi memorizzare i loro nomi. Quanto alle età che hanno dichiarato, in un inglese scheletrico, ci sembrano improbabili: 10, 12 e 13 anni. Sembrano molto, molto più giovani. Comunque è stato uno dei momenti più belli del viaggio. Quella che ha scelto di prendere per mano me è la piccola, una teppa superintelligente e simpaticissima. Ha cominciato a intendersi con Francesca a fonemi e dai “mamama”, “papapa” e “tatata” è nata una prima musica a sei, destinata a trasformarsi poi in vera e propria corale. Oltre al solito similinno nazionale nepalese, “Resham Phiriri”, siamo riusciti a esibirci in un “Fra’ martino” bilingue: “Cin cion bell, cin cion bell”.
Arrivati alla tappa intermedia, le bimbe si fermano a pranzare con la mamma e noi tre proseguiamo. Arranchiamo per arrivare a Kagbeni, ma il premio è dietro l’angolo: Jomsom è là, a portata di vista. Malediciamo il Khali Gandhaki, inguadabile perché ha troppa acqua e riaffrontiamo i saliscendi tra le rocce. A ogni altura, controlliamo. E Jomsom è sempre là, sempre alla stessa distanza, sempre lontana e sola.
(nella foto: l'immenso rullo di preghiera all'entrata del tempio di Muktinath. Contiene 100 milioni di mantra; www.muktinath.org)
3 commenti:
i segni della civiltà, già...la maternità, già...i nostri racconti formano un'immagine di noi. visti da lontano se ne scorge la traccia.
un giorno questa me la spieghi
va bene, prometto. comunque preparati, c'entra Borges...baci cara v.
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