“Day 5 - Gyantse- Lhasa (3650 m): 261 km. Ovvero: si galoppa. Full day picturesque drive crossing over Karola (5010 m), Kambala (4794 m), colourful Yamdrok Lake and the Tibetan lifelineriver Brahma Putra (Yarlung Tsangpo). Overnight at hotel”.
L’albergo era leggermente peggio di com’era sembrato a prima vista (la doccia funzionava davvero male e gli asciugamani erano zozzi ma, per fortuna, avevamo i nostri).
Il viaggio verso Lhasa, invece, non è drammatico: un po’ di sterrato, più o meno fino alla pausa pranzo, ma senza grandi buche, né frane, né salti. Nella cittadina dove ci fermiamo a pranzare le donne vendono collane di formaggio di nak. Ale ne compra un filo e ci fa assaggiare un paio di bocconi. Non che valga granché, una vaghiiiiiiiiissima somiglianza con il pecorino, ma quasi nessun sapore; in compenso, si fa per dire, con nostro sommo stupore il formaggio in questione si rivela dolce.
Dopo questa discutibile esperienza gastronomica, la guida ci indica un ristorante che non mi ispira né punto né poco. Carlito e io ci incamminiamo perciò lungo quella che sembra l’unica strada del luogo e scoviamo un posto che ci sembra meglio. Il tavolo più grande è occupato da una comitiva di turisti cinesi accompagnati da una guida che parla un po’ di inglese. Ci assicurano che il locale è pulito e ci sediamo per pranzare. Come sempre ci servono d’ufficio il tè, mentre noi ordiniamo carne di yak e patatine fritte. Mal ce ne incoglie perché sono entrambi immangiabili: la carne secca, dopo la scena delle immonde bestie intere che ho visto appese a seccare al sole al mercato di Gyantse, già non mi va molto (e un po’ la faccio andare di traverso anche a Carlito che, pure, di sanguinolento animale appeso con corteo di mosche non ne ha visto manco uno), quanto alle patate, tagliate a fiammifero, sono crude. Ma non importa, i cinesi sono molto curiosi e ci fanno un sacco di domande. Così finiamo per trovarci in una situazione ribaltata rispetto a “Lost in translation”: noi diamo risposte semplici, per lo più banali, e quasi sempre piuttosto brevi (anche perché l’inglese della guida è piuttosto basic), ma quando la ragazza traduce sembra che faccia autentici discorsi, invariabilmente molto più lunghi delle nostre risposte, e scatena gridolini eccitati e grandi cenni di assenso nel suo gruppo/pubblico. Misteri della tradu/di/zione.
Fuori dal paesello la strada migliora nettamente: i cinesi, che venivano da Lhasa e proseguivano verso Shigatse, per poi tornare nella capitale (molto più furbi di noi, decisamente) hanno capito tutto. Che i gridolini fossero di stupore per la nostra imbecillità?
Arriviamo a Lhasa attorno alle cinque del pomeriggio. Tanto per cambiare non siamo granché soddisfatti della posizione dell’albergo scelto da quel cretino della nostra guida e tentiamo, con gli americani David e Melissa, Antonio ed Esther, di dare il via a una ribellione, ma l’entusiasmo si smorza quando David, che ha chiamato l’hotel da noi scelto sulla base della solita Lonely Planet, il Mandala, ci informa che non c’è posto. Per una volta, però, ci sbagliamo: il Flora ha camere decisamente carine, a tre letti, niente fetida moquette sul pavimento, un bel getto della doccia, fin troppa acqua calda e lenzuola e asciugamani sono puliti. È un po’ più fuori mano del Mandala, ma i due sono separati da cinque minuti di strada, più o meno. E poi si trova nel quartiere musulmano di Lhasa che probabilmente ci sarebbe sfuggito se non avessimo soggiornato al Flora. Ultima nota? La colazione è ottima, persino meglio del mio adorato New Orleans Café di Katmandu.
Una volta convinti che l’albergo va bene, usciamo con i due spagnoli alla ricerca della Bank of China, l’unica dove cambino valuta straniera e dove, secondo la receptionist, si possa ritirare denaro con la Visa. Carlito e io non abbiamo un solo yuan, mentre all’altra coppia ne rimangono appena 40. Pensavamo di prendere un taxi ma Antonio, sicuro di sé, ci fa strada verso il Potala. Attraversiamo il quartiere musulmano, raggiungiamo il mercato, prendiamo una larga via cinese e moderna e arriviamo in vista del Potala, ma circa 500 metri a sinistra della piccola Tien An Men, come abbiamo ribattezzato l’immensa piazza che si stende davanti a quella che un tempo era la dimora dei Dalai Lama. Non c’è traccia di nessuna Bank of China. Proviamo a entrare a chiedere in un’altra banca, ma, accidenti a noi, che dovremmo ben saperlo, non capiscono né il nostro inglese né i nostri gesti. Esther ricorda di aver visto la famigerata Bank of China nei pressi del Potala quando siamo passati di qui a bordo delle jeep, ma ritrovare il punto preciso è ben altro affare. Carlito decide, chissà come, che la banca si trova dall’altro lato della piccola Tien An Men (500 m per lato, secondo la Lonely) e partiamo verso l’ignoto. Attraversata la piazza siamo esausti e sempre a mani desolatamente vuote. Chiediamo indicazioni a destra e a manca e riceviamo le risposte più disparate. L’unica certezza è che qua non c’è traccia della Bank of China.
Esther e io decidiamo di prendere in mano la situazione e di riattraversare la piazza in direzione di una banca qualsiasi che abbia uno sportello con marchio Visa. Per averci provato stamane sappiamo già che è probabilmente inutile perché, come è prevedibile, qui i Bancomat parlano soltanto in cinese ed è impossibile per noi dare loro istruzioni. Ma magari chissà. Insomma, personalmente sono colma di fiducia, mi metto in fila e arrivo pure a protestare con un paio di tizi (e tizie) che cercano di passarmi davanti e che, di fronte al mio gesticolare, si dissolvono. Il lampo di genio arriva quando osservo meglio i due cinesi davanti a me: sono giovani, trendy e decisamente turisti. C’è qualche chance che capiscano un po’ d’inglese perciò mi faccio avanti e chiedo loro di aiutarmi a prelevare. Strike. Mi guidano nelle risposte da dare alla macchina e si girano educatamente quando compongo il mio Pin. Vorrei offrire loro qualcosa ma declinano l’invito. Autentici angeli (come sempre in coppia visto che si tratta di proteggere la turista smarrita; uno, poverino, non basterebbe).
(nella foto: il lago Yamdrok, a oltre 4000 metri d'altezza sulla strada verso Lhasa)