“Flauti, timpani, sitar; si direbbe anche carillon di campane e gong argentini che ritmano la melodia in sordina”. Stavo leggendo “Un pèlerin d'Angkor” di Pierre Loti mentre ero là e a ogni capitolo sottolineavo intere frasi: qualcosa di quel che lui vide, più di cent'anni fa, nel 1901, sembra essere ancora qui. Come questa musica, che ci accoglie all'ingresso di quasi tutti i templi di Angkor. A suonarla musici vittime delle mine, come in questo video.
(foto di Jaroslav Poncar, Preah Khan, "Dancing in the Rain", 1994)
prova: qualcos'altro si trova qua. gentilmente qualcuno potrebbe farmi sapere se il link si apre? grazie
Il titolo l'ho rubato a David Grossman. Più precisamente a "Follia". Avrei potuto dire che era un omaggio o una citazione, ma cosa diavolo può fregargliene a David Grossman di essere citato da me? Così gliel'ho rubato ma lo ringrazio comunque: è perfetto per i miei deliri da viaggio (ma è meglio se li leggete dal basso in alto)
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25 settembre 2013
Boccone numero quattro
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