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18 settembre 2009

13 agosto - ancora Koussou, Tanguieta e le cascate di Tanougou - Sorpresa

Wow: l’ingresso piccino della camera della tata somba è un inganno, all’interno è una delizia, una capannina con il tetto alto a cono, nella quale i nostri ospiti hanno sistemato un materassino matrimoniale con cuscino e lenzuolo, tutto pulitissimo, tanto che non tiriamo neppure fuori i nostri sacchi. Dormiamo benissimo, cullati dal canto di qualche cicala e da un lontanissimo gracidare.
Al risveglio un sole bellissimo, i campi di mais e di sorgo verdi e i baobab, splendidi. Poi colazione al belvedere, dove becchiamo quattro giovani francesi che girano in taxi brousse; assaggiamo la famosa bouillie, a base di fonio, che i beninesi bevono a colazione e che si rivela essere una sorta di semolino insipido.
Il soggiorno a Koussou è quasi terminato, resta da raccontare uno spaccato di economia africana: l’associazione “La Perle de l’Atacora” ha chiesto un preventivo all’azienda elettrica nazionale per cercare di avere la possibilità di accendere qualche lampadina, magari di avere un computer, un frigo senza generatore, una radio e poco altro (ah, già, ho scordato: a Koussou l’elettricità non c’è). La compagnia elettrica ha dato i numeri: ha chiesto loro 36 milioni di franchi (quasi 600 mila, dicasi 600 mila, euro) per l’allacciamento alla rete. Si vede che è un lavoro complesso, direte voi. Macché: i fili dell’alta tensione passano proprio accanto all’accueil. Ora i ragazzi della Perle hanno sottoposto la cosa agli Électriciens sans frontières (sì, ci sono pure gli elettricisti senza frontiere), ma per il momento giace.
Ripartiamo verso Tanguieta per visitare l’ospedale Fatebenefratelli-Saint Jean de Dieu, fondato negli Anni 70 da tal padre Fiorenzo. All’ingresso incrociamo i napoletani, entusiasti dell’ospedale e in partenza per il Togo. Suor Teresa (79 anni portati benissimo, secondo i napoletani) ci conduce a fare il giro della struttura e confesso che questo ospedale, con i suoi reparti e la sua scuola, malgrado la mancanza di posti letto (300 per 450 malati), mi sembra un miracolo. Specie dopo aver visto ieri il dispensario di Koussou.
Finale alle cascate di Tanougou, con bagno, pioggia e relax.



(nella foto: il tetto della nostra camera nella tata somba, visto dall'interno)

12 agosto - Kota, Natitingou, Koussou - Ma chi ce lo fa fare?

A Djougou il diluvio universale ci tiene bloccati nella parte della casa della mamma di Justine riservata agli ospiti, mentre tutti gli altri stanno dall’altra parte del cortile. Appena la pioggia diventa meno fitta, ci dirigiamo verso l’auto, dove Ibe e Roland già ci aspettano sonnecchiando. Sulla strada per Natitingou, deo gratias, la pioggia cessa, così la gita alle cascate di Kota è piacevole, con quell’aspetto di déjà vu che hanno le cascatelle un po’ ovunque. Il verde è davvero intenso, la terra davvero rossa e il contrasto tra i due colori davvero magico.
Dopo la lunga sosta meditativa alle cascate andiamo a visitare un progetto gestito da tal Françoise (che lavora per diverse Ong). Françoise non c’è, ma passeggiamo per il terreno e, a dire il vero, questa impresa agricola non sembra un gran successo; pare, anzi, al limite dell’abbandono. Ma Roland giura che appena un mese fa era florida, dunque, probabilmente, è solo questione di sfiga. Intanto l’Atakora già ci accompagna nei percorsi e il sole splende. Speriamo continui.
Mi sa mi sa che sono io che mi porto sfiga: ritiro quello che ho scritto sopra. Natitingou ore 15.30: questo è il diluvio universale, mica quello di stamattina. Siamo in un Internet café (che qua chiamano cyber, con l’accento sulla e, ça va sans dire) ma, causa pioggia, la connessione è saltata. A dire il vero non era mai partita, dunque ça revient au même, ma ora siamo, per così dire, prigionieri dentro il cyber: porte e finestre chiuse, clienti davanti a uno schermo muto. No news. Il primo segnale che la pioggia è cessata è quello di connessione sul computer che ho davanti: da rosso diventa verde. Il gestore riapre porte e finestre e conferma che si può navigare. Più o meno, in ogni caso: apro la pagina di free, ma non riesco a inviare messaggi, solo a leggerli. Tant pis.
Usciti dal cyber, si parte alla volta di Koussoukouangou, il villaggio Betamaribé dove visiteremo le tata somba. È tutto molto organizzato: ci fermiamo all’ingresso del villaggio all’accueil dell’associazione “La perle dell’Atacora”. Ci propongono tre circuiti di scoperta: uno da un’ora-un’ora e mezzo per visitare Koussou (come tutti qui chiamano Koussoukouangou) e le tata somba e terminare al belvedere con la sontuosa vista sull’Atakora; il secondo porta nella savana e ad altri villaggi e dura quattro ore. Il terzo è il circuito coloniale ed è una vera e propria marcia. Propendiamo per il primo (con la riserva di affrontare eventualmente il secondo domattina), anche perché la pioggia, seppur modestamente, ricomincia a cadere. La nostra guida è adorabile, ci spiega la struttura delle tata, le grandi, a tre terrazze, di cui una per la doccia, e quelle “standard”, a due, ci mostra la tata “tempio” e i feticci protettori fuori da ogni casa. Le tata sono tutte intagliate, un po’ come i volti dei Betamaribé e la guida ci spiega che, tradizionalmente, sopra l’impasto di terra argillosa, acqua e sterco di vacca, viene steso il burro di karité sul quale si fanno i disegni.
Dopo il giro, è deciso: malgrado ripetuti tentativi di dissuasione da parte di Roland, dormiremo in una tata somba e ceneremo in loco (ovvero alla buvette dell’associazione). Confesso che sono parecchio preoccupata ma mi dico, da un lato, che, male che vada, pure fosse un incubo terribile, non si tratterà che di una notte; dall’altro che da bambina mi sarebbe certamente piaciuto da matti dormire in un posto così, perciò si tratta solo di riconnettermi alla bambina che sono stata. Invece. Invece la frugale cena al buio preoccupa un cicinin pure Carlito. O forse sarà stato l’uomo dei cani: un poveretto in bicicletta che si trascina dietro sette animali, uno adulto, immagino la mamma, e sei piccoli, legati al velocipede con bastoni e corde. È un mercante di cani, vende i cuccioli a 6.000 franchi l’uno e la grande, che poi dice non essere in vendita, a 12-15 mila. Il mercante non sembra in gran forma e i cani sulla soglia che precede la malnutrizione. In ogni caso le guide, il gestore della Perle dell’Atacora e compari lo prendono un po’ in giro e lui sta al gioco: per questa notte lui e i cani dormiranno al riparo, sotto la tettoia dell’accueil.



(nelle foto: le cascatelle di Kota; Natitingou: si avvicina il diluvio; tata somba con bambini)

31 luglio 2009

Benin meno cinque - La Maison de la Joie

Pinocchietto e io siamo abituati a viaggiare soli. Così, anche se questa volta tutto è stabilito in anticipo e organizzato da Viaggi&Miraggi, il nostro gruppo è composto solo da noi due. Tuttavia le regole del turismo responsabile prevedono un incontro pre-partenza e qualche giorno fa abbiamo incrociato via Skype gli italiani che partiranno per il Benin più o meno nel nostro stesso periodo. E, soprattutto, la loro guida: Flavio. Flavio è, insieme alla moglie Thérèse, beninoise, e all'amica Justine, l'ideatore e l'anima della Maison de la Joie, il luogo dove trascorreremo la maggior parte delle nostre notti in Benin, la sua casa a Ouidah e la casa di una ventina di bambini "prestati". La tradizione beninoise di inviare i propri figli presso parenti più benestanti perché possano avere un futuro migliore si è trasformata in un commercio di bambini schiavi, così Flavio, Thérèse, Justine e i loro amici hanno liberato alcuni di questi bimbi accogliendoli nella loro casa-famiglia. Oggi alla Maison de la Joie vivono una coppia (Justine e il marito Christian), una trentina di ragazzi (compresi i figli di Christian e Justin) e cinque signore che lavorano nel ristorantino aperto dalla Maison. La casa si mantiene con contributi privati, adozioni a distanza e con i proventi dei viaggi di turismo responsabile.
Dal computer esce la voce di Flavio e già mi piace. Intanto è bella e io sono sempre stata sensibile ai bei timbri. Poi il ragazzo (l'uomo, piuttosto, siamo coetanei) è dannatamente simpatico. Racconta un sacco di cose: di sé, della Maison, del Benin, fornisce informazioni pratiche, regala una manciata di sogni, spazza il campo dalle illusioni (per esempio: voi siete bianchi, dunque portafogli ambulanti agli occhi dei beninois). Dice che è un viaggio tosto, poi che il Benin ha una popolazione di 7-11 milioni di abitanti (i dati ufficiali sono restati a sette milioni e mezzo), il 40% dei quali ha meno di 14 anni. Parla del cibo e sostiene che la cucina beninoise è la migliore dell'Africa occidentale (l'igname la fa da padrone). Parla più pudicamente di Thérèse, del battesimo di sua figlia: si dispiace perché Pinocchietto e io non potremo assistervi, la piccola sarà battezzata il 15 agosto e noi quel giorno saremo lontani da Ouidah, nel nord del paese, a visitare le Tata Somba, sorta di fortini-castello in argilla e paglia (Flavio mi pare abbia detto anche sterco, il che è verosimile, ma nessuna delle tre guide che ho consultato ne fa menzione. Potrebbe essere una forma di autocensura da pudore: agli occidentali l'idea non può che far ribrezzo). Il 14 dormiremo all'interno di una Tata Somba e, secondo Flavio, è un'esperienza bellissima. Poi ve la racconto.



(nelle immagini, dall'alto: la Maison de la Joie a Ouidah e una Tata Somba)
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