16 luglio 2009

Africa Blues

Aspettando il Benin

Sembra facile fare i compiti. Ho riletto "Il viceré di Ouidah", sto leggendo una raccolta di favole del Benin, ho sfogliato la guida, guardato e riguardato il programma. Ah, già, devo fare le vaccinazioni e, soprattutto, avere il visto.
Il visto si fa facile, domanda con foto, passaporto, copia del biglietto aereo di ritorno e 35 euro. Consegni di mattina e due giorni dopo, nel pomeriggio, ritiri.
Alle vaccinazioni ci penseremo la settimana prossima. Intanto, ieri sono andata a rifilare i passaporti al Consolato del Benin e sono stata letteralmente assalita dai luoghi comuni: non so come sono riusciti a concentrarsi in un'ora in una sola stanza e sono riusciti a sopraffarmi.
Al mio ingresso nell'ufficio ci sono già una quindicina di persone sedute, tra questi tre bianchi e il resto neri. Ancora non sono penetrata nella stanza che vengo accolta da un "Buongiorno" collettivo e cantante, condito da sorrisi a piena bocca. Nei tre quarti d'ora in cui resto in attesa, varie persone vanno e vengono, molti si conoscono, tutti si salutano. Luogo comune numero uno: la dolcezza.
In tre aiutiamo una signora a fare fotocopie: la macchina è normalissima, ma l'uso è reso complicato dalla distanza tra la macchina stessa e la cassetta in cui vanno infilate le monete destinate ad attivare la fotocopiatrice nonché dai pulsanti che contravvengono l'iconografia implicitamente nota a tutti coloro che hanno più o meno sovente a che fare con apparecchi del genere. Comunque, in quattro se ne viene a capo e la signora regala ringraziamenti e sorrisi strappacuore. Luogo comune numero due: in Africa "perché far semplice quando si può far complicato" è un manifesto di fede.
Arriva il mio turno e mi reco allo sportello dietro il quale ci sono due uomini: uno lavora e uno non so, sta seduto alle spalle del primo, non parla, non ha in mano nulla, non legge. Apparentemente sta seduto e basta. Probabilmente è un amico, un fratello, un cugino dell'impiegato. Chissà. Dico "Buongiorno". Nessuna risposta. Cinguetto che sono qui per presentare due richieste di visto. Il signore che mi sta di fronte grugnisce di infilare tutto nei rispettivi passaporti. Obbedisco e faccio scivolare il malloppetto sotto il vetro. Una delle richieste cade sulla scrivania. Il signore rigrugnisce. Scrive qualche numero sulle domande, compila un tagliando e mi restituisce tutto quanto, intimandomi di andare alla cassa. Il mio "merci, au revoir" non trova nessun'eco.
Mi presento al secondo e ultimo sportello, detto anche cassa, e ri-cinguetto un buongiorno. La signora dietro il vetro è estremamente infastidita dalla mia presenza, impegnatissima a digitare furiosamente una serie di numeri su una calcolatrice. Ha comunque la buona creanza di scusarsi e dirmi che è occupata ma che tra poco si prenderà cura di me. Un minuto dopo alza gli occhi verso la sottoscritta e fa' un cenno con il mento. Faccio scivolare passaporti, domande, biglietti e tagliandino verso di lei. Borbotta qualcosa e io credo di capire che mi chiede del tagliando. Le dico che è nel primo passaporto. Quasi si incazza: "Le ho chiesto: dove sono i soldi?". Le allungo i 70 euro senza fiatare. Ricevo il tagliando indietro e nessuna risposta al "Merci, au revoir". Ed ecco il luogo comune numero tre: dietro uno sportello il dolcissimo beninois diventa arrogante e sgarbato.
Eppure non può essere vero. Devo certamente aver sbagliato qualcosa.

2 commenti:

Cecilia ha detto...

Luogo comune comune: gli addetti agli sportelli degli uffici pubblici sono tutti stronzi. E le fotocopiatrici sono macchine cattive.

Come sempre, però, te la sei cavata Benin.

Bacicé.

virginie ha detto...

gorgeous

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